Intolleranza al lattosio – celiachia

laboratorio Biomolecular Lab

Intolleranza al Lattosio (LCT), Fruttosio (HFI) e Celiachia

L’intolleranza allo zucchero del latte, il lattosio, sebbene identificata dai medici solo nel 1960, è probabilmente l’intolleranza alimentare più diffusa al mondo e non è da confondersi con l’allergia al latte, che invece deriva da una reazione del sistema immunitario alle proteine in esso contenute.

Ci sono diversi gradi di intolleranza al lattosio che vanno da pressoché totale a molto moderata, dipende da caso a caso. In genere comunque da trenta minuti a due ore dall’ingestione di latte o derivati si comincia ad avvertire nausea, senso di gonfiore, crampi, meteorismo, disturbi intestinali e, a volte, il tutto è accompagnato da rash cutanei, e va avanti per ore o addirittura giorni nei casi di intolleranza più acuta. Spesso, anche se l’intolleranza è già presente, i sintomi restano nascosti per anni e si manifestano all’improvviso nell’età adulta.

L’intolleranza al lattosio è in genere dovuta alla mancanza di un enzima, la lattasi, prodotta dalle cellule del primo tratto dell’intestino. In questo caso si parla di deficienza primaria, ed è ereditaria, cioè trasmessa dai genitori ai figli. Possono esserci però casi (ad esempio morbo di Crohn, celiachia, infiammazioni e infezioni dell’intestino) in cui danni all’intestino uccidono le cellule che producono la lattasi ed in questo caso si può avere un’intolleranza secondaria (acquisita).

Il lattosio è uno zucchero (dolce circa un terzo del normale zucchero di cucina) contenuto nel latte ed in tutti i suoi derivati, ed è composto da due particelle più piccole, il glucosio ed il galattosio. L’intestino non può assorbire il lattosio così com’è, ma deve prima spezzarlo nei suoi due componenti base e questo compito è assolto dalla lattasi. In assenza dell’enzima, il lattosio resta indigerito nell’intestino ed è attaccato da batteri e altri microrganismi, i quali lo fermentano producendo scorie che causano i sintomi, come la nausea o i gas (metano, idrogeno).

Tutti i bambini fino a due anni di età circa producono la lattasi per poter assimilare il latte materno. Poi, con lo svezzamento, nelle persone intolleranti l’enzima non viene più prodotto, o viene prodotto in quantità via via sempre più limitate fino all’età adulta. Esiste tuttavia una distribuzione particolare nell’intolleranza al lattosio tra le varie popolazioni del mondo, dal momento che sembra che alcuni gruppi etnici siano più affetti di altri: in uno studio svolto in America, è risultato che fino all’80% dei neri americani di origine africana non producono lattasi, così come gli indiani americani, intolleranti per l’80-100% dei casi, e il 90-100% degli asiatici americani, mentre questa condizione è molto meno frequente tra i discendenti dei nord europei.

In Italia, uno studio ha dimostrato che il 51% dei settentrionali (con i nonni provenienti da Piemonte, Lombardia e Veneto) ed il 71% dei Siciliani manca del gene per la lattasi (anche se a volte non ne sono consapevoli in quanto non manifestano i sintomi), ricalcando un gradiente Nord-Sud comune a tutta l’Europa. Altri studi, tuttavia, sembrerebbero mostrare che queste percentuali sono molto più basse [Burgio GR, et al., Am J Clin Nutr. 1984].

L’intolleranza primaria al lattosio (PLI) è riconducibile ad un polimorfismo nella posizione -13910 della regione regolatrice del gene della lattasi, che nell’omozigosi porta ad una carenza di lattasi nei microvilli dell’intestino tenue. La trasmissione ereditaria è autosomica recessiva, solo i portatori omozigoti sono dunque affetti dalla PLI. Con una probabilità > 95% i portatori omozigoti sviluppano una carenza di lattasi manifesta ai sensi di un test H2 patologico. Nell’Europa la frequenza dei portatori omozigoti ammonta a ca. il 15%. Un ulteriore 45% sono portatori eterozigoti di una mutazione, tuttavia non colpiti dalla PLI.

Con una frequenza di 1:20.000 in Europa, l’intolleranza ereditaria al fruttosio (HFI) è una forma seppur rara, ma una grave intolleranza alimentare. Tre mutazioni (A149P, A174D e N334K) nel gene aldolasi B sono presenti in circa 85% di tutti i casi HFI in Europa. Sono mutazioni che portano ad un accumulo di fruttosio-1-fosfato a causa di una diminuita attività enzimatica dell’aldolasi B. L’ingestione di fruttosio è collegata con conseguenze anche fatali per l’individuo: I sintomi includono dolore addominale, ipoglicemia, potenziale e fatale insufficienza epatica e renale. Tuttavia, gli individui affetti sviluppano spesso una certa avversione per i dolci, per cui la diagnosi è spesso assente fino all’età adulta.

 

La celiachia è considerata una malattia multi-sistemica che associa a determinati fattori ambientali (glutine) una importante base genetica (predisposizione). Il glutine è una sostanza proteica presente in buona parte dei cereali quali: frumento, orzo, segale, farro, kamut, avena, spelta e triticale. Si tratta di una malattia autoimmune e a base genetica, nella quale cioè il sistema immunitario, attivato in misura anomala dal glutine, danneggia le mucose dell’intestino stesso. Negli individui affetti, la gliadina, componente proteica del glutine, dopo esser stata processata dall’enzima tissutale transglutaminasi e fagocitata dalle cellule presentanti l’antigene APC, viene esposta dalle molecole DQ2 e DQ8 del sistema HLA II, per essere riconosciuta come antigene “non self” dai linfociti T, cioè come antigene estraneo da attaccare e distruggere. A questo punto si innesca una risposta anticorpale e cellulo-mediata nei confronti dei villi della mucosa intestinale che diviene nel tempo completamente piatta causando malassorbimento.

La celiachia è una patologia a forte predisposizione genetica: nei gemelli omozigoti la concordanza per la malattia è poco inferiore al 100%, mentre il 5-10% dei familiari di primo grado ne è affetto. È presente un’associazione della malattia con i geni del complesso HLA, codificanti gli eterodimeri DQ2 e DQ8: in particolare nel sistema HLA classe II dei celiaci è presente l’aplotipo DQ2 nel 95% dei casi mentre i celiaci non DQ2 sono per la maggior parte DQ8. Chi possiede tali geni ha una elevata probabilità di andare incontro alla malattia. Risulta quindi estremamente importante un test genetico per valutare un’eventuale predisposizione familiare.