Prevenzione cancro al seno: mammografia e genetica
Senza dubbi la mammografia è uno strumento importante.
Però, d’altra parte, la mammografia preventiva nel migliore dei casi è probabile che causi più problemi di quanti ne risolva. L’interessantissimo studio del Dr. Bleyer e del Prof. Welch dimostra che la maggior parte delle donne con diagnosi di cancro tramite mammografia non ha mai avuto il cancro.
Infatti, analizzando i dati USA provenienti da mammografie effettuate tra il 1976-2008 (donne con più di 40 anni), si è potuto evidenziare che si sono raddoppiati annualmente i casi di diagnosi precoce, anche se per il 93% delle stesse non c’è stato alcun beneficio per le pazienti. Infatti, sempre annualmente, sono diminuite solo dell’8% i casi di diagnosi in fase terminale. Questa è la conclusione principale dello studio, pubblicato per altro sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine a fine novembre 2012.
In altre parole è stato stimato che il cancro al seno è stato “overdiagnosticato” in circa 1,3 milioni di donne (vale a dire, i tumori sono stati rilevati nello screening, ma non avrebbero mai portato a sintomi clinici), molte delle quali hanno poi subito chirurgia, chemioterapia o radiazioni per un cancro che non le avrebbe mai fatte stare male.
Questo studio conclude riportando che lo screening mammografico solo marginalmente riduce il tasso di donne con cancro avanzato. Questo squilibrio suggerisce che c’è una sostanziale overdiagnosi che nel migliore dei casi ha solo un piccolo effetto (non significativo) sulla diminuzione del tasso di morte da cancro al seno.
Infine è doveroso riportare che studi simili nel Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Svizzera, Norvegia e Australia hanno mostrato limitate diminuzioni in termini di incidenza di cancro al seno avanzato, dopo 15 o 20 anni di screening mammografico. Pertanto, sembra che l’efficacia di questo screening sia realmente marginale, e se pare abbastanza chiaro che lo screening comporti dei problemi, altresì non è stato dimostrato che lo screening stesso aumenti la longevità delle donne.
Radiologi, patologi e altri professionisti coinvolti nello screening mammografico dovrebbero riconoscere il danno potenziale di sovradiagnosi e discuterne con il paziente e la famiglia, vista l’introduzione dei consensi informati.
Ricordiamo infine che le donne con una mutazione genetica in BRCA1 e/o BRCA2 (predisposizione cancro seno/ovaie) hanno scelte limitate per prevenire la mortalità derivante dal loro rischio genetico. Lo screening annuale con l’imaging a risonanza magnetica dall’età di 25 anni in poi, e la mammografia dall’età di 30 anni sono raccomandati nelle linee guida internazionali. Tuttavia, lo screening con la mammografia (raggi X) potrebbe portare all’induzione di cancro al seno: questo rende i pazienti portatori di mutazioni in BRCA1 e/o BRCA2 più sensibili rispetto ai non portatori per l’effetto cumulativo delle mammografie annuali, soprattutto alla luce di recenti evidenze in cui la sensibilità di screening mammografico aggiunto alla risonanza magnetica è limitata nei portatori della mutazione BRCA1, diversamente dai portatori della mutazione BRCA2 (specialmente in pazienti con meno di 40 anni).
fonti scientifiche (per approfondire):
http://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMoa1206809
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.691.3537&rep=rep1&type=pdf
http://www.academicradiology.org/article/S1076-6332(15)00111-7/pdf
http://www.nature.com/bjc/journal/v114/n6/full/bjc201632a.html
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