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Mosaici nel nostro corpo

James Priest non riusciva a dare un senso. Stava esaminando il DNA di una bambina gravemente malata, ricercando una mutazione genetica che minacciava di fermare il suo cuore. Ma i risultati sembravano provenire da due bambini diversi!
“Ero semplicemente sbalordito”, ha detto il dott. Priest, cardiologo pediatrico alla Stanford University.
La bambina poi si è scoperto essere portatore di una miscela di cellule geneticamente distinte, una condizione nota come mosaicismo. Alcune delle sue cellule trasportavano la micidiale mutazione, ma altre no.
Siamo abituati a pensare che le nostre cellule condividano un identico insieme di geni, copiati fedelmente da quando eravamo semplici uova fecondate. Quando parliamo del nostro genoma – tutto il DNA nelle nostre cellule – parliamo al singolare. Ma nel corso dei decenni, è diventato chiaro che il genoma non varia solo da persona a persona: può variare anche da cellula a cellula. La condizione non è rara: siamo tutti mosaici.
Per alcune persone, ciò può significare lo sviluppo di un disturbo grave come la problematica cardiaca di cui sopra. Ma il mosaicismo significa anche che le persone sane sono più diverse tra loro rispetto a quanto immaginato dagli scienziati.
Per quanto onnipresente possa essere il mosaicismo, è ancora molto facile che venga trascurato ed è sorprendentemente difficile da documentare.
Veniamo ai fatti. Astrea Li, la bambina esaminata dal dott. Priest a Stanford, era entrata in arresto cardiaco nel giorno della sua nascita. I medici perciò dovettero inserire un defibrillatore nel suo cuore per darle il giusto ritmo.
Il dott. Priest studiando il genoma di Astrea per cercare la causa del suo disturbo, ha concluso che aveva una mutazione in una copia di un gene chiamato SCN5A. Questa mutazione potrebbe aver causato il suo problema, perché il gene codifica una proteina che aiuta a innescare i battiti del cuore.
Ma quando il Dr. Priest ha eseguito un test diverso per confermare il dato, non è riuscito a trovare la mutazione e quindi lo stesso risultato.
Per arrivare fino in fondo a questo mistero, entra in gioco il Dr. Steven Quake, un biologo di Stanford che aveva sperimentato metodi per sequenziare i genomi delle singole cellule. Il dott. Priest ha prelevato 36 globuli bianchi dal sangue della bambina e gli scienziati hanno sequenziato l’intero genoma di ogni cellula.
In 33 delle cellule, entrambe le copie del gene SCN5A erano normali. Ma nelle altre tre cellule (8%), i ricercatori hanno trovato una mutazione su una copia del gene. Astrea aveva nel sangue “tracce” di mosaicismo.
Anche la sua saliva (15%) e le sue urine (9%) contenevano cellule che presentavano lo stesso mosaicismo. Questi risultati mostravano che Astrea aveva un mosaicismo già ben “visibile” seppur da poco al mondo.
Tornata a casa, dopo qualche tempo il defibrillatore di Astrea percepì un battito cardiaco irregolare e rilasciò uno shock, insieme a un messaggio per i medici di Astrea.
Nuovamente in ospedale con i genitori, i medici scoprirono un altro problema: il suo cuore si era pericolosamente ingrandito e i ricercatori collegarono la mutazione del gene SCN5A alla condizione anomala.
Purtroppo il cuore si fermò presto. I medici attaccarono una pompa meccanica finchè fu disponibile un cuore donato. Astrea si sottopose a un intervento chirurgico di trapianto e si riprese abbastanza bene tanto da poter tornare a casa.
Il trapianto non solo ha dato ad Astrea una nuova prospettiva di vita, ma ha anche dato al Dr. Priest una possibilità molto rara: guardare da vicino un cuore con mosaicismo. Il Dr. Priest ed i suoi colleghi hanno studiato il gene SCN5A dalle cellule prelevate da diverse parti del cuore malato. Sul lato destro del cuore si sono scoperte oltre il 5% delle cellule con geni mutati. A sinistra, quasi il 12%.

L’esperienza ha lasciato il Dr. Priest con una domanda: quante altre persone potrebbero essere a rischio di un mix nascosto di mutazioni? A meno che non finisca come con Astrea, forse sarà complicato da scoprire!

 

fonti:

https://www.nytimes.com/

Priest JR, et al., Proc Natl Acad Sci U S A. 2016; 113:11555-11560.