Descrizione
La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare, conosciuti collettivamente come tromboembolismo venoso, colpiscono annualmente circa 900000 persone negli Stati Uniti, causando centinaia di migliaia di ricoveri ospedalieri e circa 300000 morti (Raskob GE, et al., Am J Prev Med. 2010).
Il polimorfismo G20210A della protrombina, identificato nel 1996, determina elevati livelli plasmatici della protrombina stessa. Questo maggior livello del Fattore II è associato ad un’aumentata tendenza alla coagulazione e alla trombosi venosa. Su scala mondiale, la prevalenza di questo polimorfismo varia notevolmente con l’origine etnica. Nella razza caucasica europea la prevalenza della protrombina polimorfica G20210A è risultata essere tra 3-17% in pazienti con disturbi tromboembolici venosi. La prevalenza della protrombina G20210A è più alta nei paesi del Sud Europa che nei paesi del Nord. Invece, risultata essere molto rara o addirittura assente nelle popolazioni asiatiche e africane, e in popolazioni native dell’America (amerindi) e dell’Australia. L’unica eccezione alle osservazioni di cui sopra è l’alta prevalenza riportata tra gli ispanici e i meticci messicani; questi ultimi sono discendenti di matrimoni misti tra europei e amerindi. La presenza di geni europei in queste popolazioni può spiegare l’alta prevalenza di protrombina G20210A (Jadaon MM. Mediterr J Hematol Infect Dis. 2011).
Doppi eterozigoti per i polimorfismi R506Q del Fattore V e G20210A del Fattore II, hanno la tendenza ad un rischio di sviluppare malattie cardiovascolari 1,6 volte in più rispetto ai casi di singola presenza di uno dei due polimorfismi di cui sopra (Roach RE, et al., Br J Haematol. 2011).
Mentre, studiando la frequenza di anomalie protrombotiche in pazienti spagnoli con ictus ischemico (età < 55 anni), la presenza osservata del polimorfismo G20210A della protrombina è stata del 3% (Martínez-Martínez M, et al., Neurologia. 2010).
Recenti dati italiani suggeriscono che il polimorfismo G20210A della protrombina e/o il Fattore di Leiden potrebbero essere delle concause di rischio per disturbi arteriosi in circa il 5% di soggetti tra 55-80 anni, il che giustificherebbe l’opportunità di uno screening genetico e un eventuale trattamento preventivo soprattutto in quelle situazioni in cui altri fattori di rischio, come ipertensione e aterosclerosi, vengono rilevati (Forte GI, et al., Biogerontology. 2011).
Infine, il rischio di tromboembolia venosa associato a G20210A aumenta con il BMI da un rischio non significativo in pazienti con BMI <25 kg/m2 a un rischio 12 volte maggiore nei pazienti obesi (Delluc A, et al. Br J Haematol. 2011 ).